sabato 29 maggio 2021

Ifigonia in Culide

Tragedia classica in tre atti, che si svolge a Corinto nell'anno 69 d.C.

Personaggi :

  • Il Re di Corinto, padre di Ifigonia
  • La Regina
  • Ifigonia, la protagonista
  • Allah Ben Dur, primo pretendente, nobile arabo
  • Don Peder Asta, secondo pretendente, nobile spagnolo
  • Uccellone conte di Belmanico, terzo pretendente, nobile italiano
  • Spiro Kito, quarto pretendente, nobile giapponese
  • Enter O' Clisma, gran sacerdote
  • In Man Lah, gran cerimoniere
  • Bel Pistolino, elefante sacro
  • Coro di nobili, vergini e popolo

 

Atto primo

Scena: Reggia di Corinto, Sala del Trono. Le porte sono spalancate per dare accesso al popolo.

Entra il Gran Cerimoniere.


Gran Cerimoniere

O popolo bruto, su snuda il banano,

non vedi che giunge l'amato sovrano?

Il Sir di Corinto dal nobile augello

qual mai non fu visto più duro e più bello;

il Sir di Corinto dall'agile pene

terrore e ruina del fragile imene;

il Sir di Corinto dal cazzo peloso

del cul rubicondo ognora goloso.

O popolo invitto, in gesta d'amore

s'affermi il Sovrano più caro al tuo cuore.

Rendiamogli omaggio nel modo migliore,

offrendogli il culo delle nostre signore.

 

(Entra il Re seguito dalla corte)

 

Popolo

Noi siamo felici, sappiategli dire,

che tutto al Sovrano c'è grato d'offrire.

Le nostre consorti facciam preparare

in modo che a turno le possa inculare.

Noi siamo felici, noi siamo contenti,

le chiappe ed il culo porgiam riverenti:

che al nostro gentile e amato sovrano

rimanga gradito il buco dell'ano.


(Entra il re seguito dalla Corte. Le nobili dame hanno le parti del corpo desiderabili leggermente velate. Il Re, con noncuranza, tocca di tanto in tanto le forme delle damigelle più carine.)

Re

O sudditi amati, io resto confuso!

Il turno dei culi che offrite per l'uso

sarà più gradito al regio mio cazzo

che mai troverebbe migliore sollazzo.

La gioia che mi doni, o popolo, è sì grande

che già l'uccello regio distende le mutande.

Per mio regal decreto sarà da stamattina

distribuita ai poveri gratis la vaselina:

che al fine permetta, finché lo vogliate,

di fare nell'ano gloriose chiavate.

Voglio sian compensati i sudditi fedeli:

il cul pigliate pure, ma state attenti ai peli.


(Segni di giubilo)

 

Gran Cerimoniere

Adesso fuori dai coglioni

per lasciar posto ai Principi e ai Baroni.

Ai Principi e ai Baroni e ad Ifigonia bella

che sospirando brama l’ardor di una cappella.


(Il popolo fa largo ed entrano i nobili che si dispongono ai lati del trono. Entra Ifigonia, seguita dalle vergini)

 

Coro delle Vergini (danzando)

Noi siamo le vergini dai candidi manti,

siam rotte di dietro, ma sane davanti;

i nostri ditini son tutti escoriati

a furia di cazzi che abbiamo menati.

Nell'arte sovrana di fare i pompini

battiamo le troie di tutti i casini;

la lingua sapiente e l'agile mano

dan gioia e sollievo al duro banano.


Ifigonia (gettandosi piangente ai piedi del trono)

Padre mio, padre mio,

sono presa dal desìo!

Ho già un dito che fa male

per l'abuso del ditale;

ho la fica che mi tira

come corda di una lira;

sto soffrendo atroci pene

pel prurito dell'imene;

nella fica ho appena messo

la manopola del cesso;

mi ficcai nella vagina

la più grossa colubrina;

mi son messa dentro il buso

sino il cero di Caruso,

mi piantai nel deretano

cinque dita con la mano.

Credo giunto sia il momento

di donarmi un Reggimento,

che non sappia manovrare,

ma sia lesto nel montare;

nella fica anelo tanto

d’appagarlo tutto quanto…

me la sento rovinata

senza averla adoperata.

Padre mio sì forte e bello,

ho bisogno di un uccello:

d’un uccel di nobil schiatta

che mi spelli la ciabatta,

di una fava grossa e dura

che ricrei la mia natura.

Manda un bando per il Regno,

sia trovato uccello degno

che finisca le mie pene

spalancandomi l’imene.

Padre mio, se non mi sposo

morirò senza quel Coso.

 

Re 

Giuste son le tue brame, o figlia bene amata,

s’io padre non ti fossi, di già ti avrei chiavata.

Con la regal consorte, tua madre la Regina,

n’ho fatte diciassette soltanto stamattina...

 

Regina (interrompendo il Re)

Se mi alzo le vesti e vedi al di sotto,

vedrai, mio consorte, che arrivi a diciotto…

 

Re (continuando)

E se alle mie brame non ponessi un freno

non passan tre minuti che il bandolo mi meno.

Vedendo tanti culi di Principi e Baroni

già sento un gran prurito nel fondo dei coglioni.

 

Popolo 

Noi siamo felici, noi siamo contenti,

si rizzino i cazzi tuttora pendenti,

Madonna Ifigonia, soave e pudica

già sente prurito nell'inclita fica.

O Giove possente, che Venere bella

le faccia gran dono di tale cappella

che il culo le rompa, le rompa l'imene

e in fine la tolga da tutte le pene.

Sia pago il desìo della vergine cara,

meniamoci il cazzo in nobile gara.

 

(Tutti eseguono)

 

Ifigonia (rivolta al popolo)

Quanta fava, quanta fava,ma perché nessun mi chiava?

Su ficcatemi l'uccello

nella fica o nel budello;

nella fica o nel sedere

ve lo chiedo per piacere.

Deh! Non fatemi soffrire,

ve lo chiedo per tre lire.

 

Re   

Udendo le tue giuste e oneste aspirazioni,

d'orgoglio mi ribolle lo sperma nei coglioni:

con animo commosso vedo tra i bianchi veli

spuntare lunghe e nere le punte dei tuoi peli.

Non voglio che si sciupi tanto lavoro mio,

con sforzo, forse, potrei chiavarti anch’io.

Il Sacerdote venga, si appresti al sacrificio:

Enter O'Clisma tosto ne tragga lieto auspicio.

 

Gran Cerimoniere

S'avanzi Enter O'Clisma, il Sacerdote,

dal culo più vezzoso delle gote.


(Entra il sacerdote)

 

Gran Sacerdote (entrando)

Al Sire di Corinto, Signore degli Achei,

auguro cazzi in culo non men di trentasei.

 

Re 

Al Grande Sacerdote, d'ogni rispetto degno,

si doni come omaggio un bel cazzo di legno.

 

Gran Sacerdote

L'omaggio tuo, mio Sire, mi rende il cuore gaio.

Però l'avrei più caro di ben temprato acciaio.

 

Popolo 

Noi siamo felici, noi siamo contenti,

prendiamo l'uccello ben stretto fra i denti;

che al Gran Sacerdote quel cazzo d'acciaio

il culo gli renda sì come un mortaio!

 

Gran Sacerdote

Son corso immantinente alla regal chiamata

lasciando quasi a mezzo la solita chiavata.

Son però sicuro, se il ciel non me lo nega,

che mi compenserete con una bella sega,

che mi verrà tirata con arte sopraffina

dalla regale mano della gentil Regina.

Esponi il tuo desìo, Gran Sire venerando,

in fretta, te ne prego, non vedi come bando?

 

Re 

Alla mia amata figlia, la pallida Ifigonia,

da qualche tempo prude la rorida begonia.

Oh Sacerdote eccelso, chiuditi in sacrestia,

prendi l'uccello in mano e fanne profezia!

 

Gran Sacerdote

Eseguo senza indugio i tuoi voleri, o Re,

nel regal culo t’auguro cazzi novantatré.

E subito profitto, avendolo sì duro,

di far come nel rito il debito scongiuro.


(S’inginocchia e litaniando:)

 

Salamelech, salamelech.

Nel futuro ho messo il bec

non c’è bene, non c’è male,

non c’è membro senza bale,

non c’è donna senza fica,

non c’è uom che non berlica;

non c’è serva che non spari

delle seghe ai militari,

non c’è balia che al pompiere

non la faccia almen vedere,

com’è larga, com’è fatta

finché questi non la spacca,

non c’è al mondo una ragazza

che al sognar non vada pazza

per un cazzo fuor misura

che le sballi la natura,

ed il sogno non concluda

che la fica non le suda;

non c’è in terra giovanotto

che non dica d’aver rotto

con l’uccel fuori ordinanza

per lo meno qualche panza

mentre invece ha un pistolino

assai corto e mingherlino

che d’un subito s’affloscia

se lo metti sulla coscia;

non c’è donna senza veli

non c’è cazzo senza peli,

mentre invece più mi garba

se la fica è senza barba,

invitante e un poco pingua

da ficcarvici la lingua.

Senza sol non c’è mattino,

senza amor non c’è pompino,

non c’è tram senza tramviere

non c’è cul senza sedere;

non c’è al mondo giovinetta

che una volta almen non metta

dentro al culo per benino

piano piano il suo ditino;

non c’è uccel che non si rizzi

e non faccia degli schizzi;

non c’è donna savia e folle

che al vederlo così molle

non si chieda a tutto spiano

come mai farà il banano

a mutar di dimensioni

se lo tocchi sui coglioni.

Tutto questo di sicuro

parte fa dello scongiuro,

ma perché venga benone

poso il dito sul coglione

 e se poi siete contenti

vo’ a finir gli esperimenti.

 

(Il Gran Sacerdote esce da destra…)

 

Re

Adunque esulta, figlia mia diletta,

per la gioia che ti aspetta;

per soddisfare le tue giuste brame

avrai tosto un pezzo di salame.

 

Regina

Intanto, per tenerti in esercizio,

sarà bene che t’allarghi l’orifizio;

ti sceglierò io stessa, per le prove,

di sponda un letto di sessantanove.

E’ quanto di meglio esista qui in Corinto

In frutti di banano a tipo spinto.

 

Ifigonia 

Padre mio, Padre mio,

questa volta l'avrò anch'io!

Sospirando quel bel lino

voglio farmi un ditalino,

domandandovi permesso

vado a farmelo nel cesso.


(Fa per avviarsi)

 

Re (trattenendola)

Rimani, o sconsigliata; il padre tuo diletto

innanzi al popol tutto ti gratterà il grilletto,

mentre il Cerimoniere, memore del mio pegno,

ti inculerà di dietro col suo cazzo di legno.

Se con le bianche mani mi tiene su i coglioni

vedrai nella mezz'ora quaranta polluzioni.

 

Popolo 

Noi siamo felici, noi siamo contenti,

il Re ce l'ha duro in tutti i momenti;

seguiamo l'esempio del caro sovrano,

facciamoci forza , pigliamolo in mano!

 

Gran Sacerdote (entrando)

Nel filtro del futuro apersi uno spiraglio,

mettendomi nel culo un mezzo spicchio d’aglio

  

Re 

I detti tuoi sapienti son rapidi e fatali

come fuor dell'ano i nodi emorroidali.

 

Gran Sacerdote

Seguendo il tuo consiglio, o Re buono e sapiente,

misi l'uccello duro sopra un braciere ardente,

lessai il coglion sinistro, ne bevvi poscia il brodo,

grande e divino auspicio traendone in tal modo.

Questa è la frase magica che ho letto nel librone:

“Nessuno vada in figa se privo di goldone,

e che ad Ifigonia in figa nessun metta l’uccello

se prìa non sia svelato l’arcano indovinello.

Tra i principi di sangue dal ben tornito augello

bandito sia il concorso con un indovinello.

Che in fica di Ifigonia, la bella, non si vada,

se prìa non verrà sciolta almeno una sciarada!”

 

Ifigonia

Dalla gioia son toccata,

già mi sento un po’ bagnata

al pensiero di quel cazzo

che darà a me il sollazzo.

Sarà forte, duro e bello,

prepotente, quell’uccello?

Con la punta un po’ rosata,

con la schiena un poco arcuata?

Duro, rigido e flessuoso,

ben spavaldo o timoroso?

Già lo sento tra le gambe

ondeggiare in pose strambe,

penetrar nella vagina

o tentar la pecorina;

passeggiarmi sulla pancia,

le mammelle e sulla guancia;

or m’assal lo sghiribizzo

d’assaggiare il bianco schizzo.

 

Popolo

Noi siamo felici, noi siamo contenti,

udendo Ifigonia scandir tali accenti.

Il gusto di vivere è certo più bello

se dentro la fica s’adagia l’uccello.

 

Gran Cerimoniere (al popolo)

Toccatevi i coglioni, se li avete,

perché vedo transitare un prete.

 

(Tutti eseguono. Solo Ifigonia, troppo felice, non bada all’avvertimento del destino, e del resto non ha alcun paio, ahimè, di coglioni a portata di mano.)

 

(Cala lentamente la tela sul primo atto)


Fine primo atto



Atto secondo

Scena: la stessa sala. Sono presenti i principi pretendenti di Ifigonia con il loro seguito, in esecuzione della profezia di Enter O’Clisma. I pretendenti si presentano..


Allah Ben Dur


Superando monte e valle

v’ho portato le mie palle,

e riempio un gran mastello

con la broda del mio uccello.

 

Don Peder Asta

Sarete delusa di tutti 'sti doni,

guardando d’Oriente i gloriosi coglioni:

ho riempito quattro stalle

col sudor delle mie palle!

 

Uccellone   

O fulgida stella, o figlia di Re,

deh, guarda il dono portato per te!

Ho riempito una caserma

solamente col mio sperma!

 

Spiro Kito

Io sono Spiro Kito,

dalle palle di granito.

Ho creato un nuovo lago

col prodotto del mio mago!

 

Re

A voi che della terra siete i miglior coglioni,

rivolgo il mio saluto, o Principi e Baroni.

Sarete già al corrente di quel che ho decretato,

con il provvedimento che ho steso e poi firmato.

Ad ogni modo ci tengo a farvi noto

che quello che più conta è solo aver lo scroto

potente, blasonato, di nessun male affetto,

noto per le chiavate in piedi oppur sul letto.

Ma ad ogni modo mettetevi a sedere,

ve ne darà lettura il Gran Cerimoniere.

 

Gran Cerimoniere

L’anno sessantanove, il dì del due di agosto,

dalla Maestà Reale con animo disposto,

bandito fu il concorso con un indovinello

fra i Principi di sangue dal ben tornito augello.

Premio raro e nobile, ben chiaro lo si dica,

sarà d’Ifigonia più che il cul la fica,

della vergine purissima che nulla ha di finto;

Firmato: Banano Primo, Sire di Corinto.

 

Gran Sacerdote (imponendo il silenzio)

S'avanzino separatamente i pretendenti;

(rivolto al popolo)

fate largo, e al culo state attenti.

 

Allah Ben Dur

Io sono Allah Ben Dur dal poderoso uccello,

e dall'Arabia vengo a dorso di un cammello.

Il viaggio fu assai lungo, percorso senza tappe

che per lo strofinio mi bruciano le chiappe.

Raggiunta in fin la meta di sì tremendo viaggio

ho piedi, fava e culo che puzzan di formaggio.

Rinunciai in Bagdad a un favoloso ingaggio

spronato dal desìo di misurarti il raggio,

il raggio della fica, o dolce Principessa,

ché ardo dal desìo di romperti la fessa.

Sul dorso di un cammello so far mille esercizi,

infransi più d’un culo all'ombra dei palmizi.

Le mie palle lucenti, senza badare al puzzo,

sembrano pel volume le uova di uno struzzo.

Son bruno, ardito e forte, devoto mussulmano,

e dell'Arabia tutta certo il miglior banano.

Con l’aiuto d’Allah sciorrò l’indovinello

e deporrò ai tuoi piedi il mio abbronzato uccello.

 

Ifigonia (leggendo)

Avvenne un dì che un nobile prelato

lo mise dentro il culo ad un capriolo;

un figlio dal connubio essendo nato,

si domanda: com'era tal figliolo?


(Allah Ben Dur dà segni di incertezza)

 

Gran Cerimoniere

Se non mi rispondi nella settimana

farò dello tuo scroto una sottana.

 

Allah Ben Dur (sempre più confuso)

Ehm, non saprei… quell’alto prelato…

se il capriolo ha chiavato…

non so dire ... avrà pigliato ...

perlomeno un po' di scolo ..

 

Popolo (furente, facendo scongiuri)

Noi siamo infelici, noi siamo scontenti,

ti secchino il cazzo i nostri accidenti!

S’affloscin gli uccelli in segno di duolo,

quel testa di cazzo ci parla di scolo!


(Il principe è trascinato via a viva forza)

 

Gran Cerimoniere

Il primo pretendente è bello e fritto,

venga il secondo con l’uccello dritto.

 

Don Peder Asta (al Re)

Io son Don Peder Asta, gran nobile spagnolo,

astuto oltre ogni dire, viaggio col protargolo,

e sei preservativi per non subire l'onta

di prendermi lo scolo all'atto della monta.

 

(Ifigonia, provocantissima, scopre le anche, porgendo la fica alle labbra del Grande di Spagna)

 

Ifigonia 

O Principe sapiente, venuto ai miei piè,

da quanto tempo pensi non uso più il bidè?

 

Don Peder Asta

Se il fiuto non mi inganna,

o mia adorata fata,

io debbo dirti che

non ti sei mai lavata!

 

Ifigonia

Villanzone, infame traditore,

tu offendi il mio pudore!

 

Popolo (incazzatisimo)

Lo sanno le troie, lo sanno i lenoni

lo sanno gli Svizzeri dei Quattro Cantoni,

fu il dì di Giunone, con mossa pudica

che madonna Ifigonia lavossi la fica!

Coi suoi venti chili di augusto formaggio

fu fatta una palla di un metro di raggio.

Al prence sia data la pena infamante

di prenderlo in culo dal Sacro Elefante!

 

Re 

Del Popolo sian tosto esauditi i voleri:

venga Bel Pistolino coi suoi venti staffieri!

Quaranta archibugieri intanto, piano piano,

l’aiuteranno un poco col palmo della mano.

E nel caso imprevisto che non gli venga duro,

gli sfreghino con garbo la punta contro il muro.


(Entra Bel Pistolino, dando evidenti segni di giubilo: la scena si svolge alla presenza del popolo.)

 

Popolo (in delirio)

Pompa, pompa come un mulo,

fagli tremare le chiappe del culo!

Daglielo molle, daglielo duro,

fagli tremare quel buco oscuro;

daglielo duro, daglielo mollo,

fagli scoppiare le vene del collo!

 

Gran Cerimoniere

Il secondo campione è liquidato,

sia almeno il terzo Prence il fortunato.

 

Uccellone 

Sono il nobile Uccellone,

sono Conte e son Barone,

chiavo donne a buon mercato

col mio cazzo fortunato.

La mattina appena desto

me lo meno lesto lesto,

poi mi sparo, a colazione,

qualche rapido raspone.

Prima ancor di mezzogiorno,

nobil donne del dintorno

fanno a gara, porco zio,

per provare il cazzo mio.

Quattro seghe a mezzogiorno

non fan male per contorno.

Verso sera, per divario,

rompo qualche tafanario,

alternando col pompino

la chiavata a pecorino.

Se son stanco, verso sera,

chiavo sol la cameriera.

Sulla punta del mio pene

Non si contan le flittene.

Vedi, bando come un mulo

alla vista del tuo culo!

 

Ifigonia 

Sai tu dirmi il mistero della sfinge

la quale prima caca e poi spinge?

 

Uccellone 

Mi colma, oh Ifigonia, la tua parola oscura

i corpi cavernosi di gelida paura!

Il Ciel mi fu avverso, ignoro il mistero;

mi mette terrore un nero pensiero!

Già vedo il mio culo sfondato all’istante

dal cazzo tremendo del Sacro Elefante!

Già sento roteare in rotto e alterno moto

i possenti testicoli entro il peloso scroto.

Ho nel fondo del cuore una puntura sorda,

come una dozzina di piattole che morda.

Oh nobile fanciulla, alle parole altere

sento che si rilascia persino lo sfintere.

 

Re (sdegnato)

Tu che fra tanti brami la mano di mia figlia,

col culo pieno d'aglio farai la Mille Miglia!

 

Gran Cerimoniere

Tosto venga eseguito del Sovrano il volere:

si porti senza indugio d'aglio un gran paniere.


(Uccellone di Belmanico scoppia in una fragorosa risata)

 

Re   

Tu ridi, o sconsigliato, davanti al gran travaglio

di far la Mille Miglia col culo pieno d'aglio?!

 

Uccellone 

Mi fate solo pena, oh poveri coglioni,

ché per riempirmi il culo ne occorron tre vagoni!

Col culo pieno d'aglio, novello errante ebreo,

io batterò in volata la rossa Alfa Romeo!


(Si allontana baldanzoso)

 

Gran Cerimoniere

Sian tosto eseguiti i comandi del Sire,

col culo pieno d’aglio ei deve finire.

 

Ifigonia (piangendo nostalgica)

Addio mio Bel Manico, nobile Signore,

a perder il tuo cazzo non si rassegna il cuore.

Non hai colpa veruna, se con l'uccello dritto,

giammai non scandagliasti la Sfinge dell'Egitto,

se solo mille fiate alla tua chioma fulva

s'intrecciaron tenaci i peli della vulva.

 

Re 

Non piangere Ifigonia, lustro dei peli miei,

sii paziente e devota ai detti degli Dei.

 

Gran Cerimoniere

Il terzo, a quanto pare, è bello e fritto,

s’avanzi il quarto, col banano dritto.

 

(Il principe Spiro Kito, figlio del Sol Levante, si avanza nei paludamenti di Gran Samurai.)

 

Spiro Kito

Il regno di Budda manda il mio cuore,

io vengo dal Regno del mandorlo in fiore.

Son Duca d’Oriente, nomato Spiro Kito,

ho il cazzo sì duro che par di granito.

Ancora bambino, giostrando da pazzo,

sembravo potente nell’uso del cazzo;

potente a tal punto, sebbene maschietto,

da farmi pensare a tenzoni da letto.

Poi vinsi il primato persin nei casini,

campione invitto di fiche e pompini;

tal che le ragazze, godendoci anch’esse,

m’offrivan per nulla le povere fesse.

Un’unica volta, una donna di rango

negommi convegno nel giro di un tango:

l’attesi, e quando s’offrì l'occasione

le ruppi il culo con uno spuntone.

Così la mia fama varcando le mura

di questa, diciamo, casa di cura,

giungea alle bimbe di buona famiglia

dove la madre, più bon della figlia,

cullava l’uccello con docile mano

per fare alla figlia rompere l’ano.

Or passo all’azione, domanda Signora,

qualsiasi indugio va a danno dell’ora.

 

Popolo

Noi siamo felici e non siamo sciocchi,

questo senz’altro è un cazzo coi fiocchi.

 

Spiro Kito

Io vengo dal paese dei mandrilli

Dove si va nel culo pure ai grilli.

Son figlio del Giappone, Spiro Kito,

ed ho un paio di coglioni di granito.

Facciamo presto con le spiegazioni,

ché è tempo di sbrodar nei pantaloni.

 

Ifigonia 

Vi era un eremita in Poggibonsi

che non cacava, e non faceva stronzi;

or dimmi: quando un rutto egli tirava,

ai suoi fedeli che impressione dava?

 

Spiro Kito

A simile domanda una risposta sola:

avea quell'eremita il culo nella gola!

La storia già ci narra del Principe Gargiulo,

il quale nella faccia rassomigliava a un culo.

Ne sono più che certo, e dirlo posso lieto,

dell'eremita il rutto puzzava più di un peto!


(Il Gran Cerimoniere apre una pergamena e dà segni di approvazione. Il Re s’avanza, congiunge le mani dei due giovani Principi sanzionando l’unione, mentre il popolo e gli astanti si inginocchiano in religioso e muto ringraziamento agli Dei e le vergini innalzano al cielo il loro tenue canto.)

 

Vergini

O Venere buona, o Venere bella,

provvedi noi pure di dura cappella,

e come a lei, Principessa ed amica,

ci capiti in dono l’uccel nella fica.

 

Re 

Un uomo siffatto che ha tanto di cervello

ragiona certamente con l'uccello.

Per Ifigonia mia, devota e grata,

ecco la fava tanto sospirata!

Sii degna dell'uccel che ti ho donato,

non obliando i fasti del Casato:

la grande Filiberta, illustre e saggia,

il culo si incendiò con l’acqua ragia,

preferendo la morte al nero duolo

di curarsi lo scol col protargolo;

Vulvina Bartolino, sua germana,

che arrossiva sbucciando una banana,

in un momento di furor demente

cacciossi nella fica un ferro ardente.

E la nobil Filiconia, tua bisava,

sempre in lizza nel giuoco della fava,

morì, vetusta d’anni, in un bordello

col cuore trapassato da un uccello.

 

Ifigonia 

Il sorriso della fica

la mia gioia alfin vi dica.

Son contenta, son beata

ché alla fin sarò chiavata.

Ma vi giuro sugli Dei

di pensare ancor ai miei:

tanto al Re che alla Regina

quando m’alzo ogni mattina.

a lui dono un sospensorio

con il segno del littorio

ed a lei l'originale

di un bel cazzo artificiale.

 

Popolo 

Noi siamo felici, noi siamo contenti,

s’innalzino i cazzi di gioia frementi;

porgiamoci tosto il culo di sponda,

l’uccello del Prence di gioia c’inonda.

 

Vergini 

Noi siamo le vergini dai candidi manti,

s'intreccino i cazzi, s'innalzino i canti:

il grande fattaccio ci dona gaiezza,

e per la gioia tagliamo la pezza.

S’intreccin le danze, si innalzino i canti,

per farci chiavare useremo i guanti.

Lasciamo le seghe, lasciamo i pompini,

lasciamo un istante i bei ditalini;

è giorno di festa, l'azzurra pervinca

mettiamo all'occhiello del muso di tinca;

seguendo l’esempio del popolo intero,

un grosso banano ci laceri il velo.

 

Gran Cerimoniere

E risuoni nella reggia,

perlomeno una scoreggia!


(esegue)

(Cala rapida la tela sul secondo atto)



Fine secondo atto


Atto terzo

Scena: la camera nuziale. Nei quattro angoli, quattro bidè dove bruciano profumi. Nelle pareti bracieri accesi. Pezze di marchese sparse. A destra una porta che dà nell'appartamento del re; in fondo a sinistra, si nota un elegante water-closed con catena d’oro pendente. Ifigonia e Spiro Kito giacciono sul talamo.

 

Ifigonia 

O amato Spiro Kito, Prence e Samurai,

il tempo passa e non mi chiavi mai!

 

Spiro Kiro

Desisti, o Principessa, dal chieder spiegazioni,

non vedi che cominci a rompermi i coglioni?

 

Ifigonia 

Fammi vedere le palle di solido granito,

fammi toccar l'uccello almeno con un dito;

che brami, Spiro Kito, dalla tua dolce amica,

vuoi farmi prima il culo, o ripulir la fica?

 

Spiro Kito

C'è una cosa, Ifigonia, che ancora non ti ho detto,

un segreto terribile che brucia nel mio petto.

 

Ifigonia 

Oh parla Spiro Kito, mio divino,

t'ascolto col canal di Bartolino!

 

Spiro Kito

Un giorno, or son quattr'anni, soffrendo per un callo,

stavo prendendo un bagno nel Grande Fiume Giallo

e, come è sempre in uso tra i nobili Signori,

stavo rompendo il culo a paggi e valvassori.

Quand'ecco passa altero un bonzo di Visnù

(allor mio caro amico, ci davam del tu)

il quale mi propose, con sordido cinismo,

di fare nel suo culo un giro di turismo.

Di meglio non bramavo, e come un folle toro,

soffiando a testa bassa glielo ficcai nel foro.

Ma quell’infame avea, nel nero tafanario

lungo, rapace e impavido, un verme solitario,

che mentre io mi godevo il morbido budello,

pian piano mi sbafava la fava dell'uccello.

Eccoti ormai svelato alfin tutto l'arcano:

il bruno Spiro Kito è privo di banano;

ed ora, mia diletta, quando vuol godere,

non ha altra risorsa che il buco del sedere.

Vedi, mi fai pentire d’esserti vicino,

per placar le smanie fatti un ditalino.

Or non è il momento di fare una chiavata,

il cane pechinese provveda alla leccata.

Passata da tempo è la mala avventura,

che tolsemi il membro di madre natura!

Ed or per il tuo bel sesso gentile

io dunque t’ho fatto un Pesce d’Aprile.

Io sono imponente, in caso sì bello,

ma in modo assoluto mi manca l’uccello.

Io godo di dietro a modo di prete.

E’ noto che il prete modello e perfetto,

privato dell’uso di maschio uccelletto,

se preso da brama di ibrida voglia

qualunque desìo nel culo convoglia.

 

Ifigonia 

E’ vero che i preti, a quanto mi dici,

prendendolo a tergo si rendon felici,

ma molti son quelli, lo provano i fatti,

che in barba alle leggi si chiavan da matti.

D’esempio sia al mondo, per detto Egiziano,

di Cesare invitto l’uccello sovrano.

Ignobil fellone, o vil traditore,

la nobile Ifigonia getti nel disonore.

Fui vittima innocente di un infame tranello;

potea mangiarti, il verme, il cuore, non l'uccello!

Crudele e perverso mi è stato il destino,

scegliendo a consorte per me un culattino.

 

Spiro Kito

Trascorsi tristi giorni col resto del mio uccello,

mi chiusi in una torre sovrastante il mio castello,

tristi notti, solo, mesto, avvolto in neri veli,

strappavo singhiozzando i miei lucenti peli.

Dieci giorni e dieci notti, solo, muto come un reo,

mi pelai tutto lo scroto con l’accluso perineo.

Quando alfine più non ebbi manco un pelo sul coglione,

senza l’ombra di un conforto mi buttai giù dal balcone.

Fu un istante… giunto al suolo dileguossi il mio tormento,

per dar luogo ad uno strano, novello godimento.

Volle il cielo, assai benigno, che nel rapido mio giro

io cadessi con il culo sull’uccello di un fachiro,

che da circa quarant'anni meditava sotto il muro

scarno, muto ed impassibile, ma col cazzo sempre duro.

Benedetto sia per sempre quell’uccello e quel momento

che la porta disserrommi al soave godimento.

Da quattr’anni sempre in viaggio per città, paesi e corti,

io di uccelli assai ne ho presi, lunghi, dritti e grossi e storti,

bianchi, neri, rossi, gialli, prepotenti e timorosi

profumati e puzzolenti, anche rigidi e flessuosi,

oleanti di formaggio, stranamente tatuati

malmenati orribilmente, un pochino scorticati.

 

Ifigonia 

Furie d'Averno, o voi che anguicrinite

chiavar vi fate in pose pervertite

da quei ciclopi che hanno un occhio solo,

perché non vi pigliate mai lo scolo?

E tu, Giunone, che sull'Elicona

ti fai dal Can leccar sulla poltrona,

perché non ti mangia un pezzo di grilletto

il cucciol tuo fetente e prediletto?

 

Spiro Kito

Frena i tuoi detti alteri, o Ifigonia, basta!

Rispetta, se non altro, l'arte pederasta.

Vedo che tu le gioie non sai dell’intestino,

te lo dice un esperto e vecchio culattino.


Re (entrando con una scatoletta in mano)

Ho sentito rumore dalla stanza vicina;

state cercando forse un po' di vaselina?

 

(Ifigonia, furiosa per la delusione subìta, si avventa sui coglioni paterni)

 

Ifigonia 

Anche la vaselina, nuovo scherno!

O padre snaturato, va’ all'inferno!

Ora ti mangio il destro e poi il sinistro,

e sta certo che neanche il dio Calisto

se pietà si prendesse del tuo guaio,

ridar te ne potrebbe un altro paio.

Castrato sei, e se vorrai godere,

godrai anche tu col buco del sedere!

 

Re  

Ahimè ahimè, o qual vista orrenda!

Mia figlia fe' dei miei coglion merenda!


(si accascia piangendo)

 

Gran Cerimoniere (entrando di corsa)

Accorrete Cortigiani, Duchi, Principi, Baroni,

 Nobiluomini, Visconti dai bei nobili coglioni,

 voi, pulzelle e maritate, Nobil Dame, Castellane,

che battete di gran lunga le più celebri puttane,

 tralasciate le chiavate, i rasponi ed i pompini,

 sospendete un sol momento i consueti ditalini!

 Ifigonia, la sovrana, accecata dal dolore,

 si mangiò le grosse palle dell'augusto genitore!

 

(entrano i cortigiani e le cortigiane in costume adamitico)

 

Re

Addio vergini belle, che lasciaste l'imene

sopra la forte punta del mio robusto pene,

addio peli rosati di donne e di bambini,

addio lingue sapienti, maestre di pompini.

Addio mio prode cazzo, piega da questa sera,

la rossa, audace testa un giorno tanto fiera!

Finite son purtroppo le giostre e le tenzoni:

non val robusta fava se priva di coglioni.

Addio nobile uccello, un giorno tanto grande

da giungere alle stelle col poderoso glande,

signore della vulva, terror dello sfintere,

facevi ognor tremare il buco del sedere,

che mille e mille volte, furente come un toro,

dilaniasti le ceste giungendo nel piloro;

che mille e mille volte, con mosse agili e strane,

metteste a repentaglio le trombe falloppiane.

Tu, che mai cedesti a seghe ed a pompini,

stavolta fosti vittima di due denti canini,

dormi! Da questa sera sarà tuo cimitero,

in segno di cordoglio, un sospensorio nero.

Da oggi tu, negletto, starai nelle mutande,

né più le tingerai con il possente glande!

Meglio sarebbe stato di perder anche il cazzo,

ma perderlo da prode nel gioco del rampazzo.

Perir tu ben dovevi, ma in nobile tenzone

invece, ahimè, peristi da povero coglione!

 

(il Re si apparta piangendo)

 

Gran Cerimoniere (rivolgendosi ad Ifigonia)

Ti sarà dato il tormento duro

d'esser legata colla fica al muro:

il popolo sfilerà, e tu con l'ano

farai da monumento vespasiano.

 

Ifigonia (avanzandosi alla ribalta come in estasi)

Sognavo un cazzo forte, da bambina,

perciò pregavo Giove ogni mattina,

ché, come un giorno avvenne per Enrica,

potesse capitarmi nella fica

un poderoso e ben tornito cazzo

per farmene per sempre il mio sollazzo.

Così non fu! E la Giustizia grande,

che gioia e pur dolore in terra spande,

volle che fossi, per crudel destino,

moglie di un detestato culattino!!!

Da prode morirò, come Raniere

che non poté inculare lo sparviere.

Addio per sempre, Spiro Kito sposo,

mi butto pel dolor nel water closo.

Tu porrai fin, ti prego, alla mia pena,

tirando lentamente la catena.


(Prima che qualcuno possa trattenerla, Ifigonia si getta a capofitto nel water-closed. Spiro Kito, impassibile, ubbidendo ai suoi ultimi voleri, tira lentamente la catena. Tutti si inginocchiano pregando, mentre una salva di lugubri scorregge saluta la moritura.)

(Cala definitivamente la tela)

Fine

 

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Ifigonia in Culide è una tragedia goliardica in tre atti, composta secondo le dicerie da un ignoto gruppo di studenti torinesi nella seconda metà degli anni 20 (ossia circa un secolo fa) e che per decenni ha girato sottobanco nei licei e nelle università passando di mano in mano su edizioni clandestine riprodotte in proprio a mano o con la macchina per scrivere.

Altra leggenda è che sia stata un’opera di Gabriele D'Annunzio.

Secondo Wikipedia invece fu composta a Torino nel 1928 da Hertz De Benedetti all'epoca studente astigiano di medicina, e in seguito medico urologo. L’autore la pubblicò in forma anonima, sotto forma di dattiloscritto senza data e senza firma.

Il poema, scritto in versi e strutturato come una tragedia greca (il titolo è un chiaro rimando a Ifigenia in Aulide di Euripide), è una parodia del genere tragico che, come vuole lo spirito goliardico, fa ampio utilizzo di termini scurrili e allusioni sessuali. L'opera contiene anche un ricco e serioso apparato di note fuori testo, la cui lettura è molto apprezzata dagli amanti del genere.

Nonostante l'assonanza del titolo, la trama della tragedia sarebbe la parodia della Turandot di Giacomo Puccini.

Come la principessa cinese, anche Ifigonia è costretta dal padre a prendere marito, e deve sceglierlo tra alcuni pretendenti, che devono rispondere ad alcuni indovinelli: chi li scioglie, sposerà la principessa, chi non ce la fa sarà giustiziato.

A questo punto potrebbe sorgere la domanda: cosa centra Ifigonia con il sottoscritto? 

Beh, anche io, nel lontano 1986 credo, in 5° Ginnasio al liceo Cavour mi trovai tra le mani le fotocopie, frutto di fotocopie di altre fotocopie, un po' dritte un po' storte, di questo poema. Non saprei dove cercarle fisicamente ora. Per fortuna con internet si trova anche l'introvabile.  

 

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