giovedì 27 gennaio
L’insegna in
ferro battuto Arbeit macht frei venne posta nel 1940 sul cancello d’ingresso
del campo di concentramento di Auschwitz I.
La lavorazione della scritta fu ad opera del fabbro (e dissidente politico) polacco non ebreo Jan Liwacz, prigioniero n. 1010, che poi decise di saldare la lettera “B” al contrario, capovolgendo l’occhiello piccolo in basso rispetto al grande, diversamente da come la grafica impone.
Appendere al contrario la lettera B lo si può considerare come un atto di resistenza contro la macchina frantumatrice della dignità umana che fu Auschwitz.
Quando il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa liberò i prigionieri, i sovietici decisero di rimuovere l’insegna ma un ex prigioniero del campo, Eugeniusz Nosal, ben conscio del suo valore, la scambiò con un soldato sovietico per una bottiglia di vodka.
L’insegna rimase nei magazzini del municipio di Oświęcim per parecchi anni e poi donata al Museo della Deportazione.
Nel 2014 una riproduzione della “B” capovolta fu installata nei pressi del Parlamento Europeo a Bruxelles.
Le origini della frase risalgono al Vangelo di Giovanni, dove si possono trovare frasi simili a “Wahrheit macht frei” – La verità rende liberi”.
Il
filologo tedesco Lorenz Diefenbach nel 1873 scrisse il romanzo Arbeit macht
frei, parafrasandone quindi il motto originale.
Era una bella storia sulla
ricerca di un percorso verso la virtù attraverso il lavoro, uno slogan nella
lotta contro la disoccupazione di massa, in cerca dell'efficienza della nazione
e di un miglioramento della situazione economica generale.
Quando però i nazisti salirono al potere, Arbeit macht Frei divenne un motto della loro falsa e brutale ideologia.
Quando però i nazisti salirono al potere, Arbeit macht Frei divenne un motto della loro falsa e brutale ideologia.
#giornatadellamemoria
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